esasperazione

Ieri sera, è finito da poco il tg quando ricevo un lungo sms: “Bersani scandaloso! Aspetta che venga eletto un presidente che gli dia l’ok a governare. Poteva fare subito un governo che approvasse i punti più importanti e poi cadesse, oppure elezioni subito. Ma è attaccato alla poltrona! Se lo faceva Berlusconi si scendeva in piazza! Non ha vinto punto! La gente intanto si suicida, è una vergogna!”. A inviare il messaggio è una cara amica, una compagna si sarebbe detto un tempo. Nel leggerlo ho avuto la reazione di chi viene colpito di sorpresa da un pugno allo stomaco. Le parole mi hanno turbato, così piene di rabbia, indignazione, starei per dire violenza se non fosse che a scriverle è una persona lontana da sentimenti livorosi e intransigenze aggressive, ironica e saggiamente gioviale. Il primo impulso è stato quello di rispondere immediatamente, protestando il mio disaccordo: cara, quanto scrivi è un misto di inesattezze e giudizi spropositati. Poi però mi sono fermato a riflettere. E ho colto il disagio, il senso di dolorosa impotenza, l’amara delusione celati dietro i toni crudi contro il capro espiatorio Bersani. Ho pensato che tra i tanti drammi insiti nella crisi tremenda in cui viviamo c’è il pericolo non solo di non riuscire più a guardare le cose con il giusto distacco, ma soprattutto di rimanere contagiati dal clima di esasperazione ormai capace di avvelenare le nostre parole, i nostri pensieri, le nostre anime. Allora mi sono accorto che il problema non era ribattere con argomentazioni razionali e riferimenti fattuali alle eventuali inesattezze contenute nello sfogo colmo di acrimonia della mia amica; e ancora meno difendere Bersani o riconoscergli delle attenuanti. No, il problema era, è, fermarsi a riflettere sul fatto che ci stiamo avvitando in una spirale di frustrazione dove gli occhi e la mente non sanno più vedere la tremenda complessità delle cose e i sentimenti si deteriorano, smaniosi di risposte semplici quasi sempre coincidenti con la ricerca di qualcuno cui attribuire tutte le colpe.

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